di Domenico Condito
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“Così dunque, costretto a sottomettersi al giogo, dopo che erano state adempiute in lui tutte le prescrizioni rituali, avendo chiesto a chi lo aveva proclamato vescovo che gli si accordasse un po’ di tempo per conoscere più a fondo il mistero, pensava, come afferma l’Apostolo, di non dover prendere più consiglio dalla carne e dal sangue, ma chiedeva che il mistero gli fosse rivelato immediatamente da Dio. Perciò non osò cominciare il ministero della predicazione prima che gli fosse rivelata la verità per mezzo d’una visione.Difatti, mentre egli passava una volta la notte a riflettere sul discorso della fede, e la sua mente era occupata da varie preoccupazioni (vi erano infatti anche allora alcuni che alteravano l’insegnamento della religione, rendendo spesso ambigua, con argomentazioni ipotetiche, la verità anche per chi era esperto in queste cose), mentre dunque egli passava insonne la notte e pensava alla verità, gli apparve in visione un essere dalla figura umana, dall’aspetto senile, con un abito sacro e venerando, che dimostrava una grande virtù con la grazia del suo volto e il comportamento della sua persona. Egli allora, spaventato a quella vista, scese dal letto e chiese chi fosse e per quale motivo fosse venuto. Ed avendo l’altro tranquillizzato, con voce pacata, il suo animo agitato ed avendo risposto che gli era apparso per volontà divina, a causa delle controversie che si dibattevano nel suo ambiente, affinché fosse svelata la verità della retta fede , egli, a queste parole, riprese coraggio e guardava con gioia e stupore. Ma dopo, avendo l’altro protesa la mano in avanti, gli mostrò con il dito puntato ciò che appariva di fianco. L’aver fatto girare con la mano puntata i suoi occhi, e l’aver visto di fronte un altro fantasma in abito femminile molto più bello di quanto possa vedersi umanamente, questo lo atterrì nuovamente. Egli allora, rimanendo imbarazzato dallo spettacolo, abbassò il volto, giacchè, fra l’altro, i suoi occhi non riuscivano a sopportare la visione (infatti il miracolo della visione consisteva soprattutto in questo che, pur essendo notte fonda, insieme a quelli che gli erano apparsi, brillava fortemente una luce come se fosse quella d’una fiaccola accesa, splendidamente luminosa). Poiché dunque non riusciva a sopportare con gli occhi la visione, ascoltò il discorso che quelli che gli erano apparsi facevano fra loro sulla questione discussa: in questo modo non solo fu istruito sulla vera conoscenza della fede, ma seppe anche i nomi di quelli che gli erano apparsi, giacché entrambi si chiamavano l’un l’altro con il proprio nome. Si dice infatti che da quella che era apparsa in abito femminile sentì esortare l’evangelista Giovanni a spiegare al giovane il mistero della vera religione; e che quello rispose di essere pronto a favorire anche in questo la Madre del Signore, giacché così le piaceva. E così, dopo aver esposto la questione in modo conveniente e ben definito, improvvisamente scomparve alla vista. Ed egli subito mise per iscritto quel divino insegnamento e, dopo ciò, lo predicò in chiesa in maniera identica, e lasciò ai posteri quell’insegnamento come un’eredità data da Dio. E fino ad oggi il popolo di quella città, che è rimasta immune da ogni eretico errore, è istruito per mezzo di questo insegnamento” (Gregorio di Nissa, Vita di Gregorio Taumaturgo, a cura di L. Leone, Città Nuova Editrice, Roma 1988, p. 50-51). Lo scritto del Taumaturgo, al quale si riferisce Gregorio di Nissa, è il “Simbolo”, o “Esposizione della fede”, una breve ma precisa enunciazione della dottrina trinitaria. Il Nisseno testimonia, inoltre, che la copia autografa del “Simbolo” si conservava ancora nella chiesa di Neocesarea al tempo in cui scrisse la biografia del Santo. San Gregorio di Nissa apprese questi fatti direttamente dalla nonna, Santa Macrina, ch’era stata discepola del Taumaturgo, dopo essere stata da lui convertita e battezzata. Ricevuta l’apparizione della Vergine, San Gregorio Taumaturgo affrontò con grande zelo pastorale la missione episcopale, ed è storicamente riconosciuto come “l’Apostolo del Ponto”, per l'estesa opera di evangelizzazione realizzata in quella regione e per la difesa dell’ortodossia della fede. La tradizione attribuisce al vescovo di Neocesarea una serie di miracoli portentosi, che gli valsero il titolo di “Taumaturgo”. Morì verso il 270.
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